giovedì 30 luglio 2009

Il contrario di "pari e patta" è dispari.
Dispari e senza patta. Certe frasi mi escono al volo, parlando o scrivendo un'email. E le lascio giù anche se sono terribilmente fraintendibili. Se escono parlando le lascio giù perché ci rimangono benissimo da sole. Se escono scrivendo le lascio giù perché sono terribilmente fraintendibili.

Domani parto per l'Ungheria, il viaggio è di quelli nello stile consolidato "Io ed Il"; stile che consiste nel caricare un'automobile di buone intenzioni e di una tenda e di partire allo stato brado. No alpitur. No alpi e basta, e a dire il vero non ho nemmeno idea se verso oriente ci siano montagne, nei chilometri - nemmeno troppi - che separano le Giulie da Budapest.

Ma, francamente, chi se ne frega delle montagne. Non so nemmeno se in Friuli ci siano le Giulie. Probabilmente al ballo di stasera ce n'erano diverse.
Senza contare, poi, che di tutti i viaggi allo stato brado, questo sarà quello organizzato con il minimo preavviso, e il più breve. Del resto, quando "Il" ti telefona per dirti che ha rimediato una settimana di ferie di striscio e che la moglie è fuori dai piedi e dalle discussioni, non ha nessuna insignificante importanza il fatto che avevi pianificato di passare tutto agosto a Milano e tenerti le ferie per un momento di forma migliore: assenti e basta. Il viaggio andrà come andrà. Cioè benissimo.

Ringrazio chi mi ha augurato di avere la vacanza che mi aspetto, i pochi che lo hanno fatto in mezzo al mare di coglioni che hanno voluto ricordare - non ci avevo nemmeno pensato - quanto dovrebbe essere facile scopare nell'Est. Mi viene da vomitare a scriverlo, così. Tuttavia, queste sono le parole sentite realmente. Lo dico sempre che le bugie sono spesso meglio della verità. Pazienza. Mal comune mezzo gaudio.
Non ho deciso di imparare a suonare perché era facile. Non ho deciso di imparare ad arrampicare perché era facile. Non ho deciso di imparare ad andare in montagna con gli sci ai piedi perché era facile.
Anzi, e lo realizzo solo ora. Non ho scelto di impegnarmi e di migliorare - poco alla volta e con fatica - in queste discipline solo perché restituiscono, mi si perdoni la banalità, emozioni meravigliose. Sono emozioni che richiederebbero pagine e pagine per essere descritte, e sono pagine già scritte benissimo da altri. Ho scelto di fare quello che faccio in tutto il mio tempo libero anche perché è difficile. Dev'essere per questo che ho voglia di imparare il tango, e aggiungerlo al calderone delle scommesse che vincerò. Per concludere, l'amore facile se lo comprino quelli che non sono capaci di piacere ad una donna.

Ringrazio anche la bella ragazza che si prenderà cura delle mie piante quando starò via. Lo so, scrivo solo di belle ragazze. Sto frequentando solo belle ragazze. Sono fortunato.
Dopo le istruzioni - questa va annaffiata nel sottovaso, quest'altra va inumidita appena, socchiudo la porta della stanza. Siamo soli, non c'è quasi nessuno in giro. "Silvia, ho deciso che voglio valorizzare tutta la tua femminilità. Voglio farti sentire Donna". Pausa.

"Potrai pulirmi la stanza in questa settimana".

Esce mandandomi affanculo.

I giorni fino a questo sono passati esaurendo le ultime forze in alcoolici e in musica, mentre quelle residue sono state prese in pasto dall'ansia che mi vorrebbe casalingo ordinato e viaggiatore un minimo più consapevole di quello che sta andando a fare. Sono passati anche ritrovando un'amica semidispersa in un locale. Sei single ora? Si, e tu? Si. Come sei bello, Fabio. Ho capito bene? Sei bello. Dopo venti minuti la stavo baciando, dopo venti minuti e due secondi la sua lingua si stava intrufolando a sorpresa nella mia bocca. Ho raccolto la sfida, inaspettata, e probabilmente in maniera goffa. Del resto sono un maschio, e in quanto tale sono stupidamente competitivo, come direbbe mamma Graziosa.
L'amica si accorge della goffaggine e ride.

Non siamo finiti a letto. Era troppo facile.

Brava ragazza, l'ho rivista dopo, per una pizza, insieme a un altro adorabile, grande, grosso, confuso amico. Gli voglio un gran bene. A entrambi.

Domani farò i bagagli, finirò una traduzione e forse penserò a mamma Graziosa, che questa sera ha messo di nuovo quella gonna bellissima, e con cui ho ballato tenendola stretta. Ballando, tutte le volte si impara qualcosa. Questa volta ho imparato il suo odore.

O forse penserò alla Luna, che è bella come la luna vera, che è spesso coperta di nubi come la luna vera, e che è fragile come una luna finta, di cristallo.

Il problema, in generale, è che penserò. E pensando continuerò a giocare a fare l'adulto; mentre non riuscirò nemmeno a passare l'aspirapolvere.

Probabilmente mi merito un finale di racconto così deprimente.

venerdì 24 luglio 2009

Tenerezze necessarie, ma meno gratuite di quanto sperato. Erezioni tristi e troppo rispettose, per nessun coito: né modesto, né molesto. Trucchi che colano al posto del grasso, bugie a non finire coperte con secchiate del fango pastoso di una rabbia sofferente, quella di chi ha bisogno di un Amore a forma di Ancora gigante ma trova chi ha bisogno di un amore a forma di letto a una piazza. Così il dolore lanciatore di fango invece di nascondere le bugie le sporca. Peggio: le rende brutte. Peccato, perché ci possono essere bugie bellissime. Molto più belle della verità.

Poi riesci a capire: riesci d'un tratto a capire benissimo che non avevi capito un cazzo, e colto da un raro momento di maturità decidi di non fare il più bambino che gioca con le bambole, ti senti grande e ti fa bene. Tieni i piedi in due scarpe: ti senti adulto, ma intanto hai giocato.

Ti senti come di ritorno da un cinema all'aperto annullato per un temporale improvviso. Pedali fino a casa con i sandali nel cestello della bici e le pozzanghere dell'ultima acqua caduta su Milano, acqua nuovissima, che ti schizza le piante dei piedi nudi. Sotto casa calpesti l'erba fradicia e fantastichi di essere in campagna. Non vedi il film, ma forse ti è andata molto meglio.

Speri soltanto di non aver giocato troppo forte. Speri forte di non aver rotto la bambola!

giovedì 23 luglio 2009

Sci, balli e bugie

Per quanto riguarda lo scrivere ho molto da imparare. Anche per quanto riguarda il "vivere", però non potrei essere partito più in quarta di così.
Mentre sto andando a fare l'aperitivo al Tempio d'Oro nella speranza di beccare il Gianni e fare quattro chiacchiere in vista (una vista miope, da come stanno andando i preparativi) di un viaggio nella Germania del prossimo ottobre, qualunque colore possa avere il prossimo ottobre nella germania del nord, incontro un'allieva del corso di scialpinismo. In macchina. Mi aveva detto che non aveva la macchina, per questo si faceva venire a prendere sotto casa e accompagnare dappertutto. Dev'essere anche per questo che si faceva caricare e scaricare gli sci mentre stava al telefono. Ad ogni modo, "ciaooo!" , "ciaooo!", parcheggia in tripla fila tra i complimenti dei tassisti. Cosa fai, cosa non fai: andiamo a fare un aperitivo, le dico. "Mah, non posso, sai", ma leggo nella sua espressione un "tutto sommato mi piacerebbe". Perciò insisto. "Avanti, io vado a legare la bicicletta e tu a parcheggiare la macchina. Ci vediamo qui". Accetta.
L'aperitivo è scarno, ma lo offre lei. Ragazza carina, e anche intelligente. Le suona il telefono. Sua sorella, da cui avrebbe dovuto andare a cena, la sta chiamando. Deja-vu in arrivo. "Ciao, scusa, non è colpa mia, il bancomat era rotto e ne sto cercando un altro arrivo ciaociaociao", disse dando un sorso alla birra e intingendo le dita nelle prossime patatine.
"Adoro le ragazze che raccontano balle".
"Ma io non ne racconto quasi mai"
"Sei fantastica. Ne hai appena detta un'altra"
"Ma no, perché dovrei raccontarti balle?"
"Perché ti ho appena detto che adoro le ragazze che raccontano balle"
"Ma io non ho nessun motivo di cercare di piacerti"
"Siamo già a tre", oso. Questa volta va male.
"Perché? Secondo te è una balla che non mi interessa fare colpo su di te? Non me ne frega niente!". Colpito. Ma non affondato. Cambiamo argomento, parliamo di traslochi, case, convivenze, e la conversazione resta bella accesa e vispa a dispetto degli argomenti. "Oh, domani vieni alla festa del CAI?"
Io non sapevo che c'era. Avevo ignorato l'email.
"OK, ci vediamo là".

Due mattine dopo avrei avuto addosso una camicia e dei pantaloni di lino nuovi. Non miei, ma che mi stanno tremendamente bene. La storia inizia da dove si era fermata la precedente. Del resto le storie iniziano la sera, non in ufficio. Questa inizia al CAI. La seconda bugiarda in due giorni non venne, tanto meglio. Prima di tutto perché con un'altra bugia raccontata si è resa ancora più adorabile. Ma soprattutto perché ho avuto più tempo per conoscere altre persone. Tra cui Romina, che fa Speleo - con la "S" maiuscola, è una disciplina Maestosa e se lo Merita. Poi il mio amico che d'ora innanzi chiamerò Nonno, anche se ha la mia età e la mente per certi aspetti più giovane della mia, mi conduce a un'incontro con delle persone che ha conosciuto da poco. L'idea è organizzare un viaggio in autostop. Un memorial. Da filmare. Da pensarci.
Ci mettiamo un po' ad arrivare sul posto, fondamentalmente perché prendiamo una sfilza di mezzi publici per arrivare nella via sbagliata, dalla parte sbagliata di Milano. Nonno ha fatto casino coi nomi delle vie. Non che si somigliassero granché, a dire il vero. Poco male: sull'autobus abbiamo conosciuto due animalisti che - cosa eccezionale - non sembravano né integralisti né pazzi, e che perciò mi sono piaciuti e rimpiango di non aver preso dei contatti. Sarebbe stato interessante continuare il confronto. Giù dalla 90 un pascolatore di cani sente Nonno pronunciare una parola in inglese - chissà poi quale, e chissà poi perché - ci prende per stranieri e in inglese si offre di darci una mano. Capisce che siamo italiani, perciò per i dieci minuti necessari a condurci nella via sbagliata ci parla in italiano. Peggio: monologa in italiano. Della sua bravura a spacciare droga, della sua donna con disturbi alimentari, del fatto che la gente lo rispetta. Lo rispettavo anche io, sebbene provassi un briciolo di intolleranza nei suoi confronti. Me ne vergogno: avrei potuto fare io la sua fine. Per fortuna, io non ho donne con problemi alimentari, tossicodipendenze da alimentare né cani da portare al pascolo.
Per arrivare nella via giusta prendiamo un taxi. La gente è assortita, sveglia, e bella, a parte il simpaticone che quando mi presento al citofono risponde "e un bel chissenefregalampeggiante non ce lo vogliamo mettere?", e aggancia. Entrare ad una festa di sconosciuti e fare a botte non è il modo migliore di presentarsi, perciò stavo già pensando di tornare a casa. Nonno mi convince (facilmente, a dire il vero) ad entrare e rilassarmi. Ha fatto bene, e il tipo non era così stronzo come voleva dipingersi al citofono. Anzi. Non gli ho nemmeno sputato nel bicchiere, mentre glielo riempivo di Zibibbo. Bravo Nonno che hai portato anche tu una bottiglia. Ho conosciuto galleristi un po' snob, cow-girl ubriache, buoni ascoltatori corpulenti - uno è stato in grado di ascoltare Nonno per almeno quindici minuti, mentre io cercavo di conoscere tutte le ragazze della festa - pianificatrici di viaggi in autostop, ragazzi autotatuati. Per fortuna non aveva l'inchiostro. Ero così fiducioso che mi sarei fatto tatuare. Grezzamente, male, e per sempre. Le inibizioni tolte dall'alcool non sono sempre una buona cosa. Bevo, finché qualcuno non propone di andare all'Arci Scighera a ballare il Tango. Evviva, dico io. Non so ballare, ma ascolterò la musica. E magari imparerò a fare qualche passo.
L'ambiente è bello, a parte che offro da bere a un coglione barbuto che è stato l'unico a darmi un bacio da qualche parte, quelli formali esclusi. Mi ha baciato la testa, per inciso. Mi ha messo in mano un pezzo di tabacco mentre rollava una sigaretta. Ho frainteso. E ho buttato via cinque euro che saranno poi serviti a stropicciargli il fegato, offrendogli un negroni sbagliato. Me lo ha chiesto lui, per inciso. E non mi meraviglia, del resto, cos'altro può bere, uno in grado di baciarmi i capelli?
Insieme al coglione corteggio goffamente una ragazza appena arrivata, dietro di me. Mentre cerca la tessera Arci mette sul tavolo quella di un negozio di sport. Alpinismo. Le chiedo qualcosa a riguardo, ma glissa. Comprensibilmente. Sarei stato in imbarazzo anche io, al suo posto.

Il contatto tra noi e quel bel gruppo di autostoppisti e altra gente assortita è una ragazza che Nonno ha conosciuto ad una serata di balli popolari. Mi sono sentito contento di averlo introdotto io alle danze popolari, così ho una responsabilità indiretta nell'incontro. Nonno starà addosso a lei tutta la sera. Persona interessante, per inciso, ma poco sifonabile, a mio avviso. Lei e la sua amica ancora più simpatica e ancora meno sifonabile ci insegnano i primi passi di Tango. Arriva anche un gestore del locale, un principiante del tango, ma molto ben formato e dai modi molto piacevoli, che ci da altre dritte. Il tango è duro. Belle ragazze su tacchi alti (strano, che non sia la prima cosa che ho scritto a proposito del locale) si muovono sinuosamente nella sala. Si muovono anche gli uomini, in modo meno elegante - come al solito - salvo qualche eccezione. Incrocio di nuovo la ragazza dell'ingresso e attacco bottone, in maniera meno virulenta di prima. Fa scialpinismo, è simpatica, e ha anche l'aria di essere molto intelligente. Di sicuro ha personalità. Ed è bella. Di lì a una decina di minuti mi faccio fare una foto mentre bacio la sua pianta del piede. Non è bellissimo, ma è morbido. Sembra che la cosa le piaccia. Ci credo, perdio. Le schiocco un bacio, ovvero due, che cercano di essere lusinghieri ma casti. Niente lingua, ma non perché ballava a piedi nudi ed erano neri.
Rimedio la sua email.
"Vuoi darmi il tuo numero di telefono? Che alla prima neve, andiamo a sciare", dico ottimista. Se non rimetterò in sesto il mio ginocchio per tempo, la mia personalità e il mio umore ne usciranno devastati.
"Ti lascio l'email, dai"
"Meglio. Sono più bravo a scrivere che a parlare".
Vado a dormire dal nonno, che è così ospitale da farmi fare una doccia, darmi un pigiamino e prestarmi dei vestiti che non ho mai indossato prima d'ora, ma solo dopo aver invidiato il fatto che il giorno dopo sarei potuto andare a lavorare vestito come un barbone - cosa che faccio ogni giorno, del resto, e che stavo meglio io nei suoi vestiti di quanto non ci stesse lui. Ha anche detto di non essersi accorto di Maria - la scialpinista dai piedi neri - e che ho parlato con lei. Mi sembra impossibile. Era troppo bella per non notarla. Forse ha voluto rimuoverla per invidia, gli chiedo. Mi suggerisce che ho dei problemi con l'invidia.
Ha ragione. Lo invidio per molte cose.
Non il fatto che raccoglie i punti del PAM per il suo arredo domestico, comunque.

La conclusione è che probabilmente è meglio spendere soldi in alcoolici che in psicoterapeuti. Grazie Nonno.

lunedì 20 luglio 2009

Si inizia a scrivere

Si impara a scrivere scrivendo. Ma si impara a scrivere anche vivendo. Ho già iniziato a vivere, a scrivere comincio in questo momento.

Ebbene, questa sera in metropolitana la ragazza seduta di fianco a me da una mezza dozzina di stazioni almeno - potrebbe avere la mia età, ha vistosi tatuaggi a forma di stella sul braccio sinistro e delle scarpe troppo basse e troppo chiuse per essere interessanti - cerca il telefono frettolosamente nella borsetta. Si vede che stava suonando. Risponde. E sbraita: "EEEH! SONO IN METROOOO! STO ARRIVANDOOOO! NON E' COLPA MIAA SE ERA IN RITARDOOO, ARRIVOOOO".

Poi mi guarda e mi dice ridendo: "scusa se ho urlato eh"
"ma figurati"
"ho detto una bugia, in realtà l'ho presa al volo"
"è normale: sei una donna"
"cosa?" ha una faccia che non riesco a decifrare. O si è incazzata o non ha capito. Oppure sta prendendo del tempo per decidere come reagire.
"è normale che hai detto una bugia: sei una donna", ripeto sorridendo
Ride. "ah, in effetti è una scusa che potrei usare, questa, dai". E continua: "in fondo era una bugia a fin di bene".
"certo che era a fin di bene: il tuo"
"il mio, si", dice ridendo.
"e quale altro importa, in fondo?"
iniziava a vergognarsi. "beh, dai, una bugia alle otto di sera, ci può stare"
"io le dico dalle otto del mattino"
"però se ne dici troppe poi diventa egoismo"
"hai ragione, farò l'altruista. Se scendi a Romolo ti reggo il gioco con la persona che ti stava aspettando. Ci avviciniamo chiacchierando e lamentandoci dei ritardi della metropolitana"
"scendo ad Abbiategrasso! E poi devo andare lontano, chissà che tardi che faccio!"
"peccato".

Peccato si: avrei dovuto improvvisare, scendere ad Abbiategrasso e tornare a casa più tardi: mi sarei divertito di più che ad andare all'esselunga, ma con la eminuscola, chiedere dall'abitacolo dell'auto a che ora avrebbe chiuso il supermercato a una passante con i sacchetti in mano, entrare - c'era tempo - per realizzare che domani mangio fuori e dopodomani anche, e prendere solo due verdure e una ricotta: salvo stare in fila venti minuti.
Ne ho approfittato per sentire i miei vecchi, per sentirli male, visto il rumore. Almeno mi sono scaricato il peso dalla coscienza. Chissà come stanno. Mentono sempre. In fondo, è a fin di bene.