lunedì 10 novembre 2014

Bivacco in val Curone, a novembre. Monte Chiappo e dintorni

"Chissà poi perché il calzolaio mi ha messo dei lacci nuovi nello scarpone appena risuolato", mi chiedo, togliendoli e lasciandoli sul tavolo durante i preparativi della sera prima. Arrivati al parcheggio di Caldirola lo avremmo capito. Evidentemente, vai a sapere perché, deve aver rotto quelli vecchi, che sono sbrindellati e inutilizzabili. Cominciamo bene. Consultiamo il GPS nella speranza di trovare un posto civilizzato non troppo lontano - del resto, è sabato mattina - quando ci ricordiamo che c'è un altro paio di scarpe in macchina, dai lacci ben più corti. Li uniamo con un nodo triplo inglese probabilmente come direbbero gli anglofoni "overkill", e peraltro fatto anche male perché di fretta, ma che comunque si presta benissimo all'uopo e che terrà tenacemente per tutta la gita.
Non siamo riusciti a convincere nessuno a venire, forse perché le previsioni non erano ottimali (ma chi se ne frega, dico io), sia perché , oggettivamente, serve un minimo di equipaggiamento per passare una notte fuori a novembre, a mille e cinquecento metri - suppergiù - di altitudine. Così cominciamo a camminare. Guardo la mappa e mi accorgo che potremmo scappare subito via dall'asfalto allungando un po' il giro. Fatico a convincere Claudia che non è allenatissima ("ma non possiamo restare dell'idea originale, no eh") ma alla fine si va, e menomale. Ci giriamo e prendiamo la strada per il monte Giarolo.
Una mucca curiosa e giovane decide di assaggiarmi,
poi un cartello ci mette in allarme: "battuta di caccia al cinghiale in corso". Più che la paura di prendermi una fucilata, possibilità presente ma fortunatamente remota, mi infastidisce il pensiero di sentire il fastidioso e volgare suono dei fucili durante la giornata. Per fortuna sentiremo pochi spari. Ma andate a caccia con arco e frecce, perdio, che é molto più divertente. Il posto è bello anche se la strada è larga e non permette di farsi avvolgere del tutto dalla natura.
Poi diventa bosco.

Abbiamo due cartine imperfette: una è OpenStreetMap, alla quale contribuirò anche io con le scoperte fatte sul campo (infatti, appena posso, prendo strade non segnate) e l'altra è la carta dell'Istituto Geografico Militare: molto dettagliata, ma vecchia. Spesso i sentieri sono cambiati. A volte spariscono, altre volte ce ne sono di nuovi. Idem per le fontane. Eccetera.
Così finiamo che invece di salire al Giarolo, ci troviamo sulla dorsale a metà tra quest'ultimo e il Gropà, verso cui avremmo voluto scendere. Tagliamo così un pezzo della variante appena improvvisata e siamo sulla cresta, dove cammineremo per la maggior parte dell'avventura.


Mi tocca esercitare (a dire il vero con risultati mediocri) l'arte della pazienza per il passo di Claudia. Andare e fermarmi e andare e fermarmi mi sfianca. Ho fame di tempo, così raro, questo, libero dai pensieri e dai doveri, e lo voglio mangiare, tutto. Mi alleno per questo. Mi alleno nei giorni feriali per avere una pancia più grande da riempire di vita in quelli festivi.

E invece aspetto, finché non facciamo una pausa per mangiare.
Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento si alza il vento. Prima faceva caldo e si stava bene con un solo strato di vestiti addosso, ora fermarsi potrebbe essere meno divertente, col vento che ti sferza la faccia.
Per carità, non è una tragedia, anzi. Ma è una perfetta occasione per tirare fuori il tarp e iniziare a giocarci. Cerco di fare un setup "lean-to" usando solo due terzi di tarp, che altrimenti sarebbe davvero gigantesco. Il risultato non è il massimo e porta via un sacco di tempo, ma per essere la prima installazione semiseria è decente. Mangiamo riparati dal vento e con un bel panorama davanti agli occhi.


Si continua, con il dubbio su dove fermarsi. Non siamo partiti prestissimo, le giornate finiscono presto: dobbiamo trovare un posto dove bivaccare prima del tramonto, ma soprattutto dobbiamo fare scorte di acqua. Siamo partiti, giustamente, con un solo litro a testa, per evitare di portarci in groppa diversi chili in più. La zona risulta, dalle cartine, ricca di fontane (dedicate anticamente al pascolo, scopriamo). Anche se nessuna è direttamente lungo il nostro percorso, costa meno una deviazione per andare a fare rifornimento di acqua, per poi riprendere la strada, che non portarsi tutta l'acqua necessaria direttamente dal parcheggio. E poi è anche più divertente.
C'è una certa fontana, chiamata "Ciapeta" (giuro), che é segnata sulle carte IGM, ma non su OpenStreetMap: andiamo a cercarla. Il fatto che non sia su OSM non significa, affatto, che non ci sia.
Così scendiamo fuori dalla traccia principale prendendone una poco marcata e senza alcun segnavia, né tantomeno cartelli.
Il posto è bellissimo. Spero di trovare l'acqua più per fermarmi lì, che per non dover camminare ancora. Arrivati al punto, tuttavia, dell'acqua non c'è traccia. Scopriremo dopo che probabilmente è un errore di cartografia IGM.
Lungo un sentiero a mezza costa, che taglia il monte Ebro da sotto - rivelando che non è così dolce, a tratti - puntiamo a una seconda fonte, questa volta segnata su entrambe le carte, che siamo convinti di trovare. Il sentiero è bellissimo, anche se scomodo da percorrere e poco segnato: evidentemente è poco battuto e rischia l'abbandono. Da un lato, è il suo fascino.





 La luce calante ci ricorda che i minuti corrono, eppure questa è probabilmente la parte più bella della piccola avventura. Vuoi per il sentiero lontano dalla traccia principale, vuoi per la luce infuocata, vuoi proprio perché il tempo stringe e carica un po' di adrenalina.
Arriviamo infine alla fonte, malmessa, ma presente, e ci zavorriamo di tanta acqua quanto ci permettono i contenitori: tre litri.

 Dobbiamo, poi, scegliere il posto dove dormire, e di fretta.

Mi piacerebbe dormire lungo il sentiero. Piano a sufficienza per ciascuno e in un punto bellissimo. Ma "no perché è meglio se stiamo di fianco".
In cima, allora! Sarebbe estremamente panoramico, e potremmo vedere sia il tramonto che l'alba. Ma no, perché c'è vento.
E allora stiamo sul fianco meridionale del monte. Ecco... qui.
"Non sarà un po' in pendenza"?
"Mah, proviamo".
Ci sdraiamo, sembra accettabile, non sarà una tragedia dormire con le gambe un po' verso il basso.
Una vocina mi ricorda di quanto scomodo fosse dormire in tenda non in piano, dai tempi dei primissimi campeggi alle manifestazioni di gioco di ruolo dal vivo. Eppure sembra così comodo, ora: va bene, stiamo qui.
Iniziamo a tirare il tarp in modo che sia spazioso ma ripari dal vento, lasciando una bella vista attorno a noi.

Il risultato non è male, anche se un po' basso, è capiente.

 E ci permette di accendere il fornello ad alcool. Riparato dal vento e ben areato, possiamo usarlo sotto il tarp. Rende bene, ci scalda un po', e ci permette di preparare e gustare la cena con questa vista:


L'unico neo è che non abbiamo preparato le posate prima di buttare la polenta, così quando cerco di mescolar trovo grumi da sciogliere. Non applico nemmeno troppa forza, ma il cucchiaio mi si spezza in mano, così dobbiamo condividere quello che rimane. Poi è ora di preparare il letto. Anzi, a dirla tutta è già un po' tardino.



Anche se il ricovero è pronto, decidiamo di provare la vera esperienza del bivacco e di essere circondati dalla natura - letteralmente. Intorno, sotto, e sopra. OK, sotto no: mettiamo un telo. Circa il sopra... in caso di pioggia il tetto sarebbe stato pronto e ci saremmo potuti rifugiare.
L'idea era ottima, il problema è stata la pendenza. Abbiamo sottovalutato - e io me lo ero dimenticato! che con sotto vari strati (il materasso, il sacco a pelo, e il telo, che abbiamo repentinamente tolto) si scivola. Ci accorgiamo che la pendenza, ahinoi, non era affatto poca, era notevole.
Morale: il freddo non ci tocca. I sacchi a pelo fanno un bel lavoro, e i sacchi da bivacco tengono noi e il sacco a pelo stesso, asciutti. Salvo quando Claudia decide di mettere alla prova la capacità traspirante del sacco da bivacco respirandoci dentro, naturalmente.
In compenso, ci svegliamo ogni tanto per riaggiustare la posizione (e ritirarci su di qualche decina di centimetri). 
La notte tuttavia passa e riposiamo decentemente, lo dimostrano le energie il giorno dopo. L'alba è spettacolare, purtroppo le foto non rendono.



Panorama:


Il fornello ad alcool consuma davvero poco: facciamo due volte il té aggiungendo pochissimo carburante. E poi in marcia. Si torna a prendere l'acqua, e si riprende la cresta.

Il secondo giorno inizia con un meteo meno spettacolare. C'è un po' di foschia, che è comunque affascinante. Quasi, tuttavia, rimpiango che non piova, come da previsioni. Sarò strano, me lo dicono in tanti, ma amo la natura quando piove.
Diventa più intima e più preziosa. L'acqua libera gli odori: della terra, dell'erba, delle rocce. Le salamandre e le lumache escono felici allo scoperto, mentre gli escursionisti - la maggior parte di loro, per mia fortuna - si rintanano. Così rimaniamo io e i pochi che mi seguono, e lo spettacolo è tutto per noi.
Il tempo "regge", tuttavia, anche se in basso si vedono nuvole, nella direzione di un bel bosco misto che guardiamo dal giorno prima, dall'altro lato della valle.



La parte antipatica della gita è il vedere che sul confine della valle a fianco, nella provincia pavese (valle Staffora) ci sono diverse postazioni attrezzate per la caccia con richiami vivi.
I nostri eroi si rintanano in casette mimetiche, mettono uccelli selvatici in gabbia a cantare, e sparano alle prede che si posano lì vicino. Davvero una caccia eroica. Evidentemente in provincia di Pavia è consentita, ma è davvero deprimente vedere che ci sono esseri umani così piccoli.

Ci rimettiamo a camminare, dopo un po' di saliscendi la compagna di camminata inizia ad accusare la stanchezza. Capisco che, ahimé, non si può allungare ulteriormente il giro come speravo. Mesi e mesi a pregarla di allenarsi buttati nel cesso.
Tanto vale fare una pausa pranzo più lunga e fare altri esperimenti col tarp, allora. Che pezzo geniale di equipaggiamento. Proviamo a fare una tenda chiusa. Che riesce benissimo: grande, spaziosa, e con un quarto del peso della stessa tenda in cui si sta in due stretti come in una bara XL.



Ci si sta talmente comodi che proviamo anche a prepararci un tè, dentro, per vedere se è sufficientemente ventilata per poterlo fare, in caso di intemperie. Di sicuro lo spazio basta.
Questa volta l'esperimento fallisce: dopo un paio di minuti dobbiamo spegnere il fuoco. L'anidride carbonica si accumula velocemente e ci si arrossanno gli occhi. Poco male, è servito comunque: scopriamo che per cucinare bisogna ventilare maggiormente lo spazio - per poi richiuderlo alla fine. Oppure preparare il tarp in modo da avere un vestibolo verso l'esterno: bisogna sperimentare ancora.

Vorremmo anche provare a metterci in un posto sicuro - su una pozza di fango - a bruciare di proposito alcune foglie  coprendole di alcool infuocato. L'obbiettivo è quello di vedere come si comportano quando prendono fuoco: se divampano o, come mi aspetto, se bruciano in modo controllato, e facilmente estinguibile in caso di incidente. Questo per avere un po' di consapevolezza in più: è lapalissiano che nel dubbio si rimane sempre prudenti.
Tuttavia, di nuovo, il tempo stringe, e soprattutto volge, finalmente, al peggio. La temperatura si abbassa, perciò impacchettiamo e partiamo verso il paese di Bruggi, frazione di Caldirola.
Per scendere attraversiamo finalmente il bosco. Che è bello, ma percorrendolo sull'ennesima carrozzabile mi manca la sensazione di esserne avvolto. Per fortuna a un certo punto ci imbattiamo in un bivio: una strada da cartografare, una scorciatoia, e soprattutto un percorso scomodo e abbandonato, molto più selvatico della strada appena percorsa.


Si ariva a Bruggi. Il paesino è antico, e si respira. Ci troviamo a due passi - letteralmente - dalla provincia di Pavia, siamo in quella di Alessandria, eppure si parla - e scrive - ligure. Adoro le quattro province.


Dopo è la volta di Salogni, lungo un chilometro di strada asfaltata ma piacevole,e poi alla ricerca di un'altra strada non presente sulle cartine più moderne - ma di cui sapevo dell'esistenza, perché avevo visto un tracciato GPS per ciclisti che passava di lì. Arriviamo a Caldirola dopo aver incrociato della vegetazione primordiale:

Arriviamo a un parco giochi poco prima del parcheggio. Ci mangiamo una polenta calda con gran gusto.


Poi si riprende la strada di casa, andando a trovare quel vecchino di don Mario, a cui avevamo promesso che saremmo tornati e per cui abbiamo scelto questa destinazione precisa. Non si ricordava neanche di noi, perdio, ma è stato contento della visita, e anche noi. Atei scomunicati a cui piace un prete, un paradosso che ancora mi spiego a stento, ma mi sarei fermato di più. Così come mi sarei fermato un'altra notte sulle colline, questa volta nel bosco, tirando un po' la cinghia col cibo rimasto, e partendo all'alba il giorno seguente. Purtroppo non è stato possibile, ma è stato memorabile anche così. Al punto che Claudia mi ha convinto a scriverne. L'ho fatto. Sarà di sicuro una buona memoria per il futuro, e dovrei farlo più spesso. Anche se serve quasi più tempo a stendere il racconto che a viverlo. Vivremo di memorie, meglio metterle per iscritto.


lunedì 18 ottobre 2010

Udine, crocevia verso Est

Questa volta non ho nemmeno la pretesa di tentare di essere in qualsiasi modo letterario. Faccio una cronaca e basta.
Venerdì mattina metto qualche maglietta e qualche paio di calze e mutande nello zaino, giusto perché non si sa mai che qualcuno abbia risposto alla mia richiesta di ospitalità a Udine.
Non avrei immaginato che sarebbe finita in modo tanto bello; venendo ospitato da una fan friulana integerrima e brava cuoca amante della lingua e della cultura russa, conversando con dei simpatici ubriachi in una bettola a qualche passo dal duomo cittadino, bevendo del mosto delizioso quanto le chiacchiere. Non avrei mai immaginato che sarei rimasto fino alle due di notte, sotto un portico in piazza Libertà, tra birre e chitarre con gente allegra e semplice di Udine (alla faccia dei giovani benvestiti che pullulavano una discoteca, allestita come un inconsapevole affronto al buon gusto ai piedi del castello), alcuni simil-punkabbestia che la sera sarebbero tornati a casa dalla mamma lasciando le loro innumerevoli lattine per terra, membri di gang latine che mi hanno illuminato sulla realtà dei loro gruppi, che ho scoperto essere più... violentemente romantica di qualsiasi romanzo pulp; ragazze croate e di istanbul, un ex tossicomane nervoso, aggressivo e sgradevole, un ubriaco che non si reggeva in piedi e dava il proprio vomito in pasto al suo cane. Va beh, questo era il particolare meno interessante.
La musica, è stata interessante. Non era quasi mai bella, cantavamo quasi tutti male, me incluso, ma era nostra, con un canzoniere in mano. Non ero l'unico lì per caso: ho realizzato che di tutta quella gente che andava e veniva non si conosceva quasi nessuno, se non a piccoli gruppi, incontrati lì per una coincidenza musicale, calamitati dalle canzoni; come me. La situazione è stata così avvincente, e si respirava una fratellanza così forte che è stato bello anche cantare gli ottoottotre, lo scrivo senza imbarazzo.
È stato bello parlare con chi è scappato dalla Croazia poco dopo Tito, e sentir la fuggitiva cantare una canzone croata con gli occhi bagnati di lacrime; ascoltare chi vive in casa con israeliani e palestinesi, come parte di un "progetto di pace" i cui dettagli non sono riuscito a cogliere, e che mi ha raccontato come nemmeno in un appartamento dove la gente ha scelto di andare a convivere c'è libertà dalle tensioni della guerra; è stato incantevole ascoltare la voce di una ragazza cantare "Ederlezi" in modo sublime, al punto che tutte le conversazioni si sono interrotte spontaneamente perché le orecchie si volgessero a Lei, al punto che il respiro mi è diventato affannoso, e il battito cardiaco ha accelerato. Così, per la musica. Sognare quella canzone di notte sul divano e reincontrarne l'autrice per caso per strada la mattina dopo, in modo rocambolesco a quasi come se fosse stato uno scontro, è stato bello. Udine, crocevia verso l'Est.
E poi c'è stato il resto, di Udine; l'autostop, con passaggio diretto da un chilometro da casa della "surfer" a... una pasticceria, l'architettura, la mostra di Escher in compagnia dei miei amici, il museo di arte moderna visitato da solo (letteralmente: sono stato l'unico visitatore del museo, in oltre un'ora, peccato, perché era davvero bello) e l'accoglienza del suo personale, che tuttavia non sapeva nemmeno... chi e cosa fosse esposto.
Udine, non so se ci vivrei. L'assaggio, però, è stato delizioso.

domenica 26 settembre 2010

Il mistero dell'ombrello cinese

Ventidue e trenta circa, salgo in metropolitana, sudato, in direzione della stazione centrale, e poi di Roma. Fuori piove.
Toh, c'è un bell'ombrello dimenticato proprio lì accanto a dove sto andando a sedermi.
Ora, mettiamo in chiaro che non avevo nessun bisogno di un ombrello, ma l'idea di fregarlo mi sembrava alquanto divertente. Gli ombrelli girano: ne ho regalati tanti a sconosciuti, dopo tutto. Questo lo prendo e poi lo regalo a qualcuna a Roma. Almeno questa volta scelgo a chi darlo.
Mi guardo in giro: il tizio di fronte ce l'ha. Quell'altro anche. E quell'altro è troppo lontano: è proprio dimenticato. Bene, quando mi alzo, è mio. Riprendo a leggere.
Ma avevo fatto i conti senza il cinese.
Costui mi si mette di fianco, in piedi. Puzza, e alza pure l'ascella. "Cheppalle", penso, "con tutti i posti, proprio qui?" Cerco di continuare a leggere, considerando di prendere l'ombrello e spostarmi. Toh, curioso: lui appoggia il suo accanto al... mio. Ma che rompicoglioni!
Alla fermata dopo, la volpe li prende in mano entrambi.
Gli lancio occhiate eloquenti: a lui, agli ombrelli, a lui, agli ombrelli. Mi vede. Sostiene lo sguardo. Dopo un po' guarda fisso nel vuoto mentre io cerco di continuare a fargli soggezione, pergiunta invano.
Scende a Lanza, che oltre a essere la sede di alcuni dei teatri più interessanti della città ed essere il mio Scalo preferito per andare alla Scala, è anche confine della chinatown milanese. Io resto a bordo senza ombrello.

giovedì 30 luglio 2009

Il contrario di "pari e patta" è dispari.
Dispari e senza patta. Certe frasi mi escono al volo, parlando o scrivendo un'email. E le lascio giù anche se sono terribilmente fraintendibili. Se escono parlando le lascio giù perché ci rimangono benissimo da sole. Se escono scrivendo le lascio giù perché sono terribilmente fraintendibili.

Domani parto per l'Ungheria, il viaggio è di quelli nello stile consolidato "Io ed Il"; stile che consiste nel caricare un'automobile di buone intenzioni e di una tenda e di partire allo stato brado. No alpitur. No alpi e basta, e a dire il vero non ho nemmeno idea se verso oriente ci siano montagne, nei chilometri - nemmeno troppi - che separano le Giulie da Budapest.

Ma, francamente, chi se ne frega delle montagne. Non so nemmeno se in Friuli ci siano le Giulie. Probabilmente al ballo di stasera ce n'erano diverse.
Senza contare, poi, che di tutti i viaggi allo stato brado, questo sarà quello organizzato con il minimo preavviso, e il più breve. Del resto, quando "Il" ti telefona per dirti che ha rimediato una settimana di ferie di striscio e che la moglie è fuori dai piedi e dalle discussioni, non ha nessuna insignificante importanza il fatto che avevi pianificato di passare tutto agosto a Milano e tenerti le ferie per un momento di forma migliore: assenti e basta. Il viaggio andrà come andrà. Cioè benissimo.

Ringrazio chi mi ha augurato di avere la vacanza che mi aspetto, i pochi che lo hanno fatto in mezzo al mare di coglioni che hanno voluto ricordare - non ci avevo nemmeno pensato - quanto dovrebbe essere facile scopare nell'Est. Mi viene da vomitare a scriverlo, così. Tuttavia, queste sono le parole sentite realmente. Lo dico sempre che le bugie sono spesso meglio della verità. Pazienza. Mal comune mezzo gaudio.
Non ho deciso di imparare a suonare perché era facile. Non ho deciso di imparare ad arrampicare perché era facile. Non ho deciso di imparare ad andare in montagna con gli sci ai piedi perché era facile.
Anzi, e lo realizzo solo ora. Non ho scelto di impegnarmi e di migliorare - poco alla volta e con fatica - in queste discipline solo perché restituiscono, mi si perdoni la banalità, emozioni meravigliose. Sono emozioni che richiederebbero pagine e pagine per essere descritte, e sono pagine già scritte benissimo da altri. Ho scelto di fare quello che faccio in tutto il mio tempo libero anche perché è difficile. Dev'essere per questo che ho voglia di imparare il tango, e aggiungerlo al calderone delle scommesse che vincerò. Per concludere, l'amore facile se lo comprino quelli che non sono capaci di piacere ad una donna.

Ringrazio anche la bella ragazza che si prenderà cura delle mie piante quando starò via. Lo so, scrivo solo di belle ragazze. Sto frequentando solo belle ragazze. Sono fortunato.
Dopo le istruzioni - questa va annaffiata nel sottovaso, quest'altra va inumidita appena, socchiudo la porta della stanza. Siamo soli, non c'è quasi nessuno in giro. "Silvia, ho deciso che voglio valorizzare tutta la tua femminilità. Voglio farti sentire Donna". Pausa.

"Potrai pulirmi la stanza in questa settimana".

Esce mandandomi affanculo.

I giorni fino a questo sono passati esaurendo le ultime forze in alcoolici e in musica, mentre quelle residue sono state prese in pasto dall'ansia che mi vorrebbe casalingo ordinato e viaggiatore un minimo più consapevole di quello che sta andando a fare. Sono passati anche ritrovando un'amica semidispersa in un locale. Sei single ora? Si, e tu? Si. Come sei bello, Fabio. Ho capito bene? Sei bello. Dopo venti minuti la stavo baciando, dopo venti minuti e due secondi la sua lingua si stava intrufolando a sorpresa nella mia bocca. Ho raccolto la sfida, inaspettata, e probabilmente in maniera goffa. Del resto sono un maschio, e in quanto tale sono stupidamente competitivo, come direbbe mamma Graziosa.
L'amica si accorge della goffaggine e ride.

Non siamo finiti a letto. Era troppo facile.

Brava ragazza, l'ho rivista dopo, per una pizza, insieme a un altro adorabile, grande, grosso, confuso amico. Gli voglio un gran bene. A entrambi.

Domani farò i bagagli, finirò una traduzione e forse penserò a mamma Graziosa, che questa sera ha messo di nuovo quella gonna bellissima, e con cui ho ballato tenendola stretta. Ballando, tutte le volte si impara qualcosa. Questa volta ho imparato il suo odore.

O forse penserò alla Luna, che è bella come la luna vera, che è spesso coperta di nubi come la luna vera, e che è fragile come una luna finta, di cristallo.

Il problema, in generale, è che penserò. E pensando continuerò a giocare a fare l'adulto; mentre non riuscirò nemmeno a passare l'aspirapolvere.

Probabilmente mi merito un finale di racconto così deprimente.

venerdì 24 luglio 2009

Tenerezze necessarie, ma meno gratuite di quanto sperato. Erezioni tristi e troppo rispettose, per nessun coito: né modesto, né molesto. Trucchi che colano al posto del grasso, bugie a non finire coperte con secchiate del fango pastoso di una rabbia sofferente, quella di chi ha bisogno di un Amore a forma di Ancora gigante ma trova chi ha bisogno di un amore a forma di letto a una piazza. Così il dolore lanciatore di fango invece di nascondere le bugie le sporca. Peggio: le rende brutte. Peccato, perché ci possono essere bugie bellissime. Molto più belle della verità.

Poi riesci a capire: riesci d'un tratto a capire benissimo che non avevi capito un cazzo, e colto da un raro momento di maturità decidi di non fare il più bambino che gioca con le bambole, ti senti grande e ti fa bene. Tieni i piedi in due scarpe: ti senti adulto, ma intanto hai giocato.

Ti senti come di ritorno da un cinema all'aperto annullato per un temporale improvviso. Pedali fino a casa con i sandali nel cestello della bici e le pozzanghere dell'ultima acqua caduta su Milano, acqua nuovissima, che ti schizza le piante dei piedi nudi. Sotto casa calpesti l'erba fradicia e fantastichi di essere in campagna. Non vedi il film, ma forse ti è andata molto meglio.

Speri soltanto di non aver giocato troppo forte. Speri forte di non aver rotto la bambola!

giovedì 23 luglio 2009

Sci, balli e bugie

Per quanto riguarda lo scrivere ho molto da imparare. Anche per quanto riguarda il "vivere", però non potrei essere partito più in quarta di così.
Mentre sto andando a fare l'aperitivo al Tempio d'Oro nella speranza di beccare il Gianni e fare quattro chiacchiere in vista (una vista miope, da come stanno andando i preparativi) di un viaggio nella Germania del prossimo ottobre, qualunque colore possa avere il prossimo ottobre nella germania del nord, incontro un'allieva del corso di scialpinismo. In macchina. Mi aveva detto che non aveva la macchina, per questo si faceva venire a prendere sotto casa e accompagnare dappertutto. Dev'essere anche per questo che si faceva caricare e scaricare gli sci mentre stava al telefono. Ad ogni modo, "ciaooo!" , "ciaooo!", parcheggia in tripla fila tra i complimenti dei tassisti. Cosa fai, cosa non fai: andiamo a fare un aperitivo, le dico. "Mah, non posso, sai", ma leggo nella sua espressione un "tutto sommato mi piacerebbe". Perciò insisto. "Avanti, io vado a legare la bicicletta e tu a parcheggiare la macchina. Ci vediamo qui". Accetta.
L'aperitivo è scarno, ma lo offre lei. Ragazza carina, e anche intelligente. Le suona il telefono. Sua sorella, da cui avrebbe dovuto andare a cena, la sta chiamando. Deja-vu in arrivo. "Ciao, scusa, non è colpa mia, il bancomat era rotto e ne sto cercando un altro arrivo ciaociaociao", disse dando un sorso alla birra e intingendo le dita nelle prossime patatine.
"Adoro le ragazze che raccontano balle".
"Ma io non ne racconto quasi mai"
"Sei fantastica. Ne hai appena detta un'altra"
"Ma no, perché dovrei raccontarti balle?"
"Perché ti ho appena detto che adoro le ragazze che raccontano balle"
"Ma io non ho nessun motivo di cercare di piacerti"
"Siamo già a tre", oso. Questa volta va male.
"Perché? Secondo te è una balla che non mi interessa fare colpo su di te? Non me ne frega niente!". Colpito. Ma non affondato. Cambiamo argomento, parliamo di traslochi, case, convivenze, e la conversazione resta bella accesa e vispa a dispetto degli argomenti. "Oh, domani vieni alla festa del CAI?"
Io non sapevo che c'era. Avevo ignorato l'email.
"OK, ci vediamo là".

Due mattine dopo avrei avuto addosso una camicia e dei pantaloni di lino nuovi. Non miei, ma che mi stanno tremendamente bene. La storia inizia da dove si era fermata la precedente. Del resto le storie iniziano la sera, non in ufficio. Questa inizia al CAI. La seconda bugiarda in due giorni non venne, tanto meglio. Prima di tutto perché con un'altra bugia raccontata si è resa ancora più adorabile. Ma soprattutto perché ho avuto più tempo per conoscere altre persone. Tra cui Romina, che fa Speleo - con la "S" maiuscola, è una disciplina Maestosa e se lo Merita. Poi il mio amico che d'ora innanzi chiamerò Nonno, anche se ha la mia età e la mente per certi aspetti più giovane della mia, mi conduce a un'incontro con delle persone che ha conosciuto da poco. L'idea è organizzare un viaggio in autostop. Un memorial. Da filmare. Da pensarci.
Ci mettiamo un po' ad arrivare sul posto, fondamentalmente perché prendiamo una sfilza di mezzi publici per arrivare nella via sbagliata, dalla parte sbagliata di Milano. Nonno ha fatto casino coi nomi delle vie. Non che si somigliassero granché, a dire il vero. Poco male: sull'autobus abbiamo conosciuto due animalisti che - cosa eccezionale - non sembravano né integralisti né pazzi, e che perciò mi sono piaciuti e rimpiango di non aver preso dei contatti. Sarebbe stato interessante continuare il confronto. Giù dalla 90 un pascolatore di cani sente Nonno pronunciare una parola in inglese - chissà poi quale, e chissà poi perché - ci prende per stranieri e in inglese si offre di darci una mano. Capisce che siamo italiani, perciò per i dieci minuti necessari a condurci nella via sbagliata ci parla in italiano. Peggio: monologa in italiano. Della sua bravura a spacciare droga, della sua donna con disturbi alimentari, del fatto che la gente lo rispetta. Lo rispettavo anche io, sebbene provassi un briciolo di intolleranza nei suoi confronti. Me ne vergogno: avrei potuto fare io la sua fine. Per fortuna, io non ho donne con problemi alimentari, tossicodipendenze da alimentare né cani da portare al pascolo.
Per arrivare nella via giusta prendiamo un taxi. La gente è assortita, sveglia, e bella, a parte il simpaticone che quando mi presento al citofono risponde "e un bel chissenefregalampeggiante non ce lo vogliamo mettere?", e aggancia. Entrare ad una festa di sconosciuti e fare a botte non è il modo migliore di presentarsi, perciò stavo già pensando di tornare a casa. Nonno mi convince (facilmente, a dire il vero) ad entrare e rilassarmi. Ha fatto bene, e il tipo non era così stronzo come voleva dipingersi al citofono. Anzi. Non gli ho nemmeno sputato nel bicchiere, mentre glielo riempivo di Zibibbo. Bravo Nonno che hai portato anche tu una bottiglia. Ho conosciuto galleristi un po' snob, cow-girl ubriache, buoni ascoltatori corpulenti - uno è stato in grado di ascoltare Nonno per almeno quindici minuti, mentre io cercavo di conoscere tutte le ragazze della festa - pianificatrici di viaggi in autostop, ragazzi autotatuati. Per fortuna non aveva l'inchiostro. Ero così fiducioso che mi sarei fatto tatuare. Grezzamente, male, e per sempre. Le inibizioni tolte dall'alcool non sono sempre una buona cosa. Bevo, finché qualcuno non propone di andare all'Arci Scighera a ballare il Tango. Evviva, dico io. Non so ballare, ma ascolterò la musica. E magari imparerò a fare qualche passo.
L'ambiente è bello, a parte che offro da bere a un coglione barbuto che è stato l'unico a darmi un bacio da qualche parte, quelli formali esclusi. Mi ha baciato la testa, per inciso. Mi ha messo in mano un pezzo di tabacco mentre rollava una sigaretta. Ho frainteso. E ho buttato via cinque euro che saranno poi serviti a stropicciargli il fegato, offrendogli un negroni sbagliato. Me lo ha chiesto lui, per inciso. E non mi meraviglia, del resto, cos'altro può bere, uno in grado di baciarmi i capelli?
Insieme al coglione corteggio goffamente una ragazza appena arrivata, dietro di me. Mentre cerca la tessera Arci mette sul tavolo quella di un negozio di sport. Alpinismo. Le chiedo qualcosa a riguardo, ma glissa. Comprensibilmente. Sarei stato in imbarazzo anche io, al suo posto.

Il contatto tra noi e quel bel gruppo di autostoppisti e altra gente assortita è una ragazza che Nonno ha conosciuto ad una serata di balli popolari. Mi sono sentito contento di averlo introdotto io alle danze popolari, così ho una responsabilità indiretta nell'incontro. Nonno starà addosso a lei tutta la sera. Persona interessante, per inciso, ma poco sifonabile, a mio avviso. Lei e la sua amica ancora più simpatica e ancora meno sifonabile ci insegnano i primi passi di Tango. Arriva anche un gestore del locale, un principiante del tango, ma molto ben formato e dai modi molto piacevoli, che ci da altre dritte. Il tango è duro. Belle ragazze su tacchi alti (strano, che non sia la prima cosa che ho scritto a proposito del locale) si muovono sinuosamente nella sala. Si muovono anche gli uomini, in modo meno elegante - come al solito - salvo qualche eccezione. Incrocio di nuovo la ragazza dell'ingresso e attacco bottone, in maniera meno virulenta di prima. Fa scialpinismo, è simpatica, e ha anche l'aria di essere molto intelligente. Di sicuro ha personalità. Ed è bella. Di lì a una decina di minuti mi faccio fare una foto mentre bacio la sua pianta del piede. Non è bellissimo, ma è morbido. Sembra che la cosa le piaccia. Ci credo, perdio. Le schiocco un bacio, ovvero due, che cercano di essere lusinghieri ma casti. Niente lingua, ma non perché ballava a piedi nudi ed erano neri.
Rimedio la sua email.
"Vuoi darmi il tuo numero di telefono? Che alla prima neve, andiamo a sciare", dico ottimista. Se non rimetterò in sesto il mio ginocchio per tempo, la mia personalità e il mio umore ne usciranno devastati.
"Ti lascio l'email, dai"
"Meglio. Sono più bravo a scrivere che a parlare".
Vado a dormire dal nonno, che è così ospitale da farmi fare una doccia, darmi un pigiamino e prestarmi dei vestiti che non ho mai indossato prima d'ora, ma solo dopo aver invidiato il fatto che il giorno dopo sarei potuto andare a lavorare vestito come un barbone - cosa che faccio ogni giorno, del resto, e che stavo meglio io nei suoi vestiti di quanto non ci stesse lui. Ha anche detto di non essersi accorto di Maria - la scialpinista dai piedi neri - e che ho parlato con lei. Mi sembra impossibile. Era troppo bella per non notarla. Forse ha voluto rimuoverla per invidia, gli chiedo. Mi suggerisce che ho dei problemi con l'invidia.
Ha ragione. Lo invidio per molte cose.
Non il fatto che raccoglie i punti del PAM per il suo arredo domestico, comunque.

La conclusione è che probabilmente è meglio spendere soldi in alcoolici che in psicoterapeuti. Grazie Nonno.

lunedì 20 luglio 2009

Si inizia a scrivere

Si impara a scrivere scrivendo. Ma si impara a scrivere anche vivendo. Ho già iniziato a vivere, a scrivere comincio in questo momento.

Ebbene, questa sera in metropolitana la ragazza seduta di fianco a me da una mezza dozzina di stazioni almeno - potrebbe avere la mia età, ha vistosi tatuaggi a forma di stella sul braccio sinistro e delle scarpe troppo basse e troppo chiuse per essere interessanti - cerca il telefono frettolosamente nella borsetta. Si vede che stava suonando. Risponde. E sbraita: "EEEH! SONO IN METROOOO! STO ARRIVANDOOOO! NON E' COLPA MIAA SE ERA IN RITARDOOO, ARRIVOOOO".

Poi mi guarda e mi dice ridendo: "scusa se ho urlato eh"
"ma figurati"
"ho detto una bugia, in realtà l'ho presa al volo"
"è normale: sei una donna"
"cosa?" ha una faccia che non riesco a decifrare. O si è incazzata o non ha capito. Oppure sta prendendo del tempo per decidere come reagire.
"è normale che hai detto una bugia: sei una donna", ripeto sorridendo
Ride. "ah, in effetti è una scusa che potrei usare, questa, dai". E continua: "in fondo era una bugia a fin di bene".
"certo che era a fin di bene: il tuo"
"il mio, si", dice ridendo.
"e quale altro importa, in fondo?"
iniziava a vergognarsi. "beh, dai, una bugia alle otto di sera, ci può stare"
"io le dico dalle otto del mattino"
"però se ne dici troppe poi diventa egoismo"
"hai ragione, farò l'altruista. Se scendi a Romolo ti reggo il gioco con la persona che ti stava aspettando. Ci avviciniamo chiacchierando e lamentandoci dei ritardi della metropolitana"
"scendo ad Abbiategrasso! E poi devo andare lontano, chissà che tardi che faccio!"
"peccato".

Peccato si: avrei dovuto improvvisare, scendere ad Abbiategrasso e tornare a casa più tardi: mi sarei divertito di più che ad andare all'esselunga, ma con la eminuscola, chiedere dall'abitacolo dell'auto a che ora avrebbe chiuso il supermercato a una passante con i sacchetti in mano, entrare - c'era tempo - per realizzare che domani mangio fuori e dopodomani anche, e prendere solo due verdure e una ricotta: salvo stare in fila venti minuti.
Ne ho approfittato per sentire i miei vecchi, per sentirli male, visto il rumore. Almeno mi sono scaricato il peso dalla coscienza. Chissà come stanno. Mentono sempre. In fondo, è a fin di bene.